Quando le parole vincono sulla legge

Bastano poche parole per trasformare un semplice controllo in un momento surreale. Un vigile, un cittadino distinto, e una raffica di frasi senza senso che cambiano per sempre il destino di un verbale.
Nel vasto repertorio della commedia italiana, poche scene sono diventate così iconiche da trasformarsi in lessico comune. La “supercazzola prematurata” è una di queste. Coniata e recitata dal conte Raffaello Mascetti, alias Ugo Tognazzi, in uno dei momenti più memorabili di “Amici miei”, questa trovata verbale ha segnato un’intera epoca e ancora oggi viene citata, parafrasata e, talvolta, tentata con risultati più o meno comici.

La scena è semplice, quasi banale nella sua costruzione: un vigile urbano ferma il conte per un controllo di routine. In risposta, invece di fornire documenti o giustificazioni, il Mascetti tira fuori una raffica di parole prive di senso apparente, ma pronunciate con un tono talmente autorevole e sicuro da mettere in crisi qualsiasi certezza linguistica. Il vigile, giovane e spaesato, cerca di comprendere, di seguire il filo logico. Ma il filo non c’è. Ed è proprio lì che nasce la magia.

Ugo Tognazzi costruisce il suo personaggio su un equilibrio perfetto tra nobiltà decadente, furbizia toscana e un’ironia corrosiva che non lascia scampo. Il conte Mascetti è un uomo che ha perso tutto, ma non l’arte della parola. Anzi, la parola è diventata la sua arma più affilata. E la supercazzola è il colpo di fioretto con cui difende la sua dignità, prendendosi gioco delle convenzioni, delle regole e, perché no, anche delle forze dell’ordine.

“Amici miei”, diretto da Mario Monicelli nel 1975, è una pellicola che ha fatto scuola. Racconta le disavventure di un gruppo di amici cinquantenni, legati da un’amicizia profonda e da una voglia irrefrenabile di scherzare con la vita. Non si tratta di burloni qualunque, ma di intellettuali, professionisti e uomini colti che scelgono di evadere dall’ipocrisia del quotidiano con zingarate improvvise e, spesso, crudeli. Il film è un trattato sulla malinconia, mascherato da commedia.

La scena della supercazzola, però, spicca su tutte. Non solo per il ritmo serrato del dialogo, ma perché rappresenta l’essenza di un’intera poetica: quella dell’assurdo che diventa verità, del nonsense che smonta la realtà, dell’intelligenza che si serve del gioco per resistere all’amarezza. È una forma di resistenza culturale, di protesta mascherata da risata.

Curiosamente, anche in Giappone il nonsense verbale ha una sua tradizione nella cultura pop. Basti pensare ai giochi di parole assurdi nei dialoghi di “Excel Saga” o alle conversazioni impossibili di certi personaggi di “Gintama”. In entrambi i casi, il linguaggio è usato come strumento di confusione, ma anche come dimostrazione di superiorità intellettuale. Non è difficile immaginare il conte Mascetti come un personaggio secondario di un anime surreale, capace di paralizzare chiunque con il solo uso del…

L’illustrazione in stile anime, che ritrae questa scena, restituisce perfettamente il contrasto tra la compostezza apparente del Mascetti e lo smarrimento del giovane vigile. I colori desaturati, lo sfondo urbano e l’espressione serafica di Tognazzi trasportano la scena in un universo narrativo nuovo, ma fedelissimo allo spirito dell’originale.

“Amici miei” ha avuto due sequel, con alterne fortune, ma è il primo film a conservare quella carica di autenticità e amarezza che lo rende ancora oggi un’opera imprescindibile. E la supercazzola è il suo marchio di fabbrica. Non un semplice sketch, ma un’idea. Un modo di affrontare il mondo. Con parole che non vogliono dire nulla. Eppure dicono tutto.