Strane presenze in camera da letto

Ti svegli, ti giri… e davanti a te c’è uno splendido alano nero che ti guarda fisso. Non è un sogno, è solo la scena di una delle commedie più assurde e soprannaturali del cinema italiano.

Questo fa parte di quei film che mescolano generi con la leggerezza tipica del cinema italiano dell’epoca: un po’ horror, un po’ slapstick, molto assurdo. Ma tra tutte le scene che compongono questa strana storia di reincarnazioni, maledizioni e convivenze improbabili, ce n’è una che resta particolarmente impressa: quella dell’uomo in pigiama che si ritrova a discutere, o forse supplicare, un enorme cane nero seduto di fronte al letto a baldacchino.

La Casa Stregata”, commedia del 1982 diretta da Bruno Corbucci e interpretata da Renato Pozzetto, si muove in un contesto surreale fin dal primo minuto. Il suo personaggio, Giorgio Allegri, è un uomo comune catapultato in una casa infestata da presenze invisibili… ma molto attive. L’alano, a differenza di molti cani del cinema, non è solo una comparsa: è un messaggero, una sentinella silenziosa di ciò che sta per accadere, una presenza quasi soprannaturale con lo sguardo che ti scruta dentro.

La scena del pigiama è puro teatro dell’assurdo. L’uomo si siede sul letto, cerca di darsi una spiegazione, si rivolge al cane con la serietà di chi discute con un amico fidato, ma il tono è disperato, incredulo, tragicomico. Il contrasto tra il letto a baldacchino, ricco e opulento, e la figura stropicciata in pigiama amplifica il senso di disorientamento. Non ci sono urla né effetti speciali: solo uno sguardo, un dialogo impossibile e una tensione comica perfetta.

Nel contesto della commedia italiana, “La Casa Stregata” occupa un posto particolare. Non è un film di fantasmi tradizionale, ma una parodia continua del genere, che si diverte a infrangere le regole del soprannaturale per piegarle al servizio della risata. Pozzetto, con il suo stile unico fatto di silenzi, smorfie e logica strampalata, riesce a rendere credibile anche la scena più assurda. Come, appunto, quella in cui si ritrova a fare i conti con l’alano misterioso.

Immaginata in stile anime, la scena assume un fascino ancora maggiore. Con i tratti raffinati e leggermente caricaturali tipici di produzioni come “Detective Conan” o certi episodi più grotteschi di “Ranma ½”, il pigiama si muove a pieghe perfette, il cane ha occhi profondi e lucenti, lo sfondo del letto ricorda una stanza delle meraviglie più che una camera da letto. È la magia dell’animazione che riesce a sublimare anche la comicità più fisica in una danza visiva.

E in fondo, il senso del film è tutto lì: trasformare l’inquietudine in risata, il paranormale in occasione per una battuta fulminante. “La Casa Stregata” non ha l’ambizione di spaventare, ma quella – forse più difficile – di far ridere anche mentre ci si chiede cosa stia succedendo. La scena dell’uomo in pigiama e dell’alano ne è l’emblema: semplice, surreale, perfettamente inutile alla trama… ma indimenticabile.

Come spesso accade nei film di quell’epoca, la forza non sta tanto nella coerenza narrativa, quanto nella capacità di costruire momenti. Momenti che restano. E questo, senza dubbio, è uno di quelli.