Un campo avvolto nella nebbia, un uomo in tuta bianca che si piazza al centro con la racchetta pronta. Non si vede nulla, ma lui è lì: impavido, determinato, ignaro che sta per entrare nella storia della comicità italiana.
Ci sono momenti del cinema italiano che travalicano il genere per diventare puro mito. La partita di tennis nella nebbia è uno di questi. Un campo immerso in una fitta coltre bianca, due figure perse nel vuoto e un arbitro che tenta, invano, di dare senso a quello che sta accadendo. Siamo nel 1975 e questa scena, tratta dal primo film del ragioniere più famoso d’Italia, rappresenta una vetta assoluta dell’assurdo comico.
Protagonista della sequenza è il ragionier Filini, incarnato da Gigi Reder con un mix di zelo aziendale e candore tragicomico. Siamo nel bel mezzo di una partita organizzata all’interno di un torneo amatoriale tra colleghi d’ufficio. Tutto dovrebbe essere rilassato, conviviale. E invece, come spesso accade in quel microcosmo surreale che è l’universo fantozziano, tutto degenera.
La gag è costruita in modo magistrale. Il campo è completamente avvolto dalla nebbia — così fitta che non si vede nemmeno l’avversario — eppure Filini si posiziona con un rigore militare, gambe divaricate, racchetta salda tra le mani. La tensione è palpabile. L’attesa della battuta si protrae all’infinito. E poi… nulla. O quasi. Solo l’eco lontano di una palla e l’incertezza assoluta su dove sia finita.
Questa scena, tra le più citate della saga fantozziana, è un esempio perfetto della comicità grottesca e dell’estetica del paradosso che pervade tutto il primo film. Diretto da Luciano Salce e tratto dai racconti di Paolo Villaggio, “Fantozzi” è un’opera che riesce a trasformare l’ordinario in epico, l’assurdo in verosimile. E proprio la sequenza del tennis nella nebbia è una metafora potente della condizione del dipendente medio italiano: costretto a partecipare a rituali aziendali svuotati di senso, in…
Gigi Reder, nei panni di Filini, offre una delle sue interpretazioni più memorabili. Il suo personaggio è l’emanazione perfetta dell’impiegato zelante, devoto alle regole fino all’autolesionismo. La sua serietà nel prepararsi a ricevere una palla che non arriverà mai è talmente esasperata da diventare poesia visiva.
Il successo del film fu immediato. Uscito nel 1975, “Fantozzi” conquistò pubblico e critica, dando vita a una delle saghe più longeve e amate del cinema italiano. Eppure, tra tutte le gag e le situazioni tragicomiche, quella partita nella nebbia resta scolpita nella memoria collettiva. Forse perché è semplice, muta, essenziale. E proprio per questo potentissima.
Nel mondo degli anime, esistono momenti altrettanto assurdi, in cui la realtà viene sospesa per lasciare spazio all’assurdo. Serie come “Nichijou” o “Sakamoto Desu Ga?” giocano con lo stesso tipo di comicità surreale, elevando l’insignificante a evento spettacolare. È questa la chiave: rendere epico ciò che, a rigor di logica, non dovrebbe esserlo.
L’illustrazione in stile anime che accompagna questa scena lo racconta alla perfezione. Filini è al centro dell’immagine, la rete da tennis in primo piano, sfocata, come una barriera che separa lui dalla comprensione del mondo. La nebbia è ovunque, densa, quasi solida. Eppure lui è lì, fermo, deciso, con quella tragicità silenziosa che fa ridere e riflettere allo stesso tempo.
“Fantozzi” non è solo un film comico: è un documento sociale, una lente deformante ma lucidissima sulla cultura aziendale, sulla burocrazia, sull’uomo medio e sulle sue disavventure quotidiane. E Filini, con la sua racchetta impugnata nel vuoto, è un simbolo perfetto di tutto questo.
Una partita mai iniziata. Un avversario mai visto. E un protagonista che non si arrende. La nebbia, forse, non è solo meteorologica.

